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Adiuva et gratus eris tibi.
La mia Africa… per ora
Stefano Covi
Sono arrivato qui per caso. Mia figlia e sue due amiche si laureano in Ostetricia e
decidono di andare in Africa per un periodo di volontariato in qualche ospedale.
Ed è grazie a Silvano, volontario da molti anni in Tanzania, che questo loro desiderio
può realizzarsi.
Non ci impiego molto tempo a decidere con grande entusiasmo di aggiungermi al
gruppo e partire insieme a loro alla volta di Lumuma.
Atterrati a Dar es Salaam ci aspetta un paesaggio incredibile: vegetazione
lussureggiante, natura spettacolare e strade a dir poco impraticabili e dissestate che
fanno da contraltare.
Dopo due giorni di viaggio in macchina, arriviamo finalmente a Lumuma.
Un piccolo villaggio dove la povertà si respira, dove da tanti anni operano i volontari
trentini che hanno realizzato tantissime cose tra cui un ospedale con annessa centrale
idroelettrica che gli fornisce l’energia elettrica, un lusso per queste zone. Da pochi
anni è stata costruita una scuola primaria dove arrivano, per frequentarla, centinaia di
bambini dai villaggi di tutta la valle; bambini che per arrivarci si fanno anche due ore
di cammino a piedi, magari senza scarpe, per poi farsene altrettante, prima
dell’imbrunire, per rientrare alla loro capanna.
Bambini, che nonostante una povertà assoluta hanno sempre il sorriso sulle labbra, un
sorriso pieno e dolce che ti riempie il cuore.
Con altri volontari andiamo a lavorare per completare la scuola e fare dei lavori, che
le suore dell’ospedale, ci indicano come emergenza, ad esempio, sistemare una strada
interna che i violenti temporali, dei giorni precedenti, hanno distrutto.
Pazzesca la quantità d’acqua che un temporale scarica in pochissimo tempo, le così
dette “bombe d’acqua” nostrane.
Ed è proprio lavorando alla scuola che incontro un sacco di bambini, tutti sorridenti, che mi diverto a far giocare con la palla e insegnando loro delle canzoncine.
Posso dire di aver visto una natura spettacolare, un fauna mai vista prima in vita mia, paesaggi stupendi e incantevoli, ma ciò che più mi ha colpito sono proprio
loro, i bambini.
Bambini bellissimi e felici con i quali condivido più tempo possibile e che quando mi vedono arrivare mi corrono incontro con dei sorrisi che mi porterò nel cuore
per tutto il resto della mia vita.
Ho la fortuna di conoscere anche un anziano, uno dei pochi, di nome Simon.
Vive in una piccola casetta, monolocale, vicino all’ospedale ed è vestito sempre con gli stessi abiti: un paio di pantaloni oramai laceri ed una maglietta sporca e
bucata.
Non parla, ma i suoi occhi, profondi e luminosi, esprimono i suoi sofferti trascorsi e ciò di cui ha bisogno.
Un giorno vado a trovarlo e mi fa capire che da tantissimo tempo non esce più l’acqua dall’unica spina posta fuori dalla casetta.
L’acqua in casa non c’è, non c’è nulla nemmeno il letto.
Il nonnino dorme per terra.
Penso subito di darmi da fare per cercare di ridargli l’acqua riparandogli il guasto e mi metto subito all’opera.
Dopo parecchie ore di lavoro riesco a far nuovamente sgorgare l’acqua da quel rubinetto.
Vorrei che poteste anche voi vedere lo sguardo di Simon come l’ho visto io in quel momento; mi si avvicina con un sorriso grandissimo e mi abbraccia intensamente
e a lungo.
Ecco, anche questa è un’altra bellissima emozione che non dimenticherò mai.
Torno dopo qualche giorno per portargli una mia tuta da ginnastica, completa di giacca e pantaloni. La giacca in realtà non è proprio leggera, come avrebbe
dovuto essere per quelle temperature, ma Simon la indossa comunque ogni giorno, e la indosserà fino al giorno della sua morte, avvenuta poco tempo dopo per
malattia.
Un’esperienza molto intensa ed arricchente che spero un giorno di poter rivivere.